mercoledì 22 ottobre 2014

Povertà, in Italia dilaga anche tra i giovani che lavorano. E spunta la proposta Reis

«Dentro ci sono lavoratori come precari, stagionali, nuclei familiari con minori con un unico soggetto che apporta reddito e che si trova in queste condizioni» gli fa eco Vera La Monica, rappresentante Cgil. Che riporta al centro un tema fondamentale, quello della povertà non solo di chi è a spasso, ma anche e soprattutto di chi lavora regolarmente, i cosiddetti working poor, o di chi entra e esce di continuo dal mercato del lavoro. A tutti loro il reddito percepito non basta. «C'è un impoverimento generale del mondo del lavoro» afferma, e sarebbe sbagliato sacrificare una politica per l'altra: «Sono necessarie entrambe», sia quelle contro la povertà assoluta che un «welfare di protezione per chi esce dal mondo del lavoro».

Il sospetto è anche che le statistiche ufficiali non riescano a intercettare un'altra grande fetta della società che annaspa: i giovani poveri che pur con un impiego vengono mantenuti dalle proprie famiglie. Magari centinaia di migliaia di trentenni che non ce la fanno con i propri guadagni, con Isee bassissimi e aiutati dai genitori sessanta-settantenni per raggiungere livelli di vita simili a quelli su cui potevano contare prima di rendersi (si fa per dire) indipendenti. Poco importa che sia attraverso il pagamento dell'affitto o il regalo della casa. Perché, attenzione, «non ci si riferisce al fenomeno d’impoverimento che tocca una parte ben più ampia della popolazione, costringendola a rinunciare ad alcuni consumi che desidererebbe potersi permettere (qualche apparecchio tecnologico o la possibilità di andare fuori città in estate) senza però impedire la fruizione dei beni e dei servizi essenziali» come scritto nel
report. Ma di un disagio ben più profondo. «È il costo vero di anni di non crescita, ed è ciò che dovrebbe interessare più di tutto se manca la possibilità di una vita degna e libera» insiste Magatti. 
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