martedì 7 novembre 2017

Industria 4.0, tre milioni di posti a rischio: Italia in ritardo nella rivoluzione tecnologica.

Nel 2016, la commissione Attività produttive della Camera ha consegnato la sua indagine conoscitiva sull’Industria 4.0, quella dove l’automazione sostituisce il lavoro umano per intenderci, e nel lungo elenco dei Paesi “eccellenti” in questo campo mancava proprio l’Italia. C’erano gli Usa e il Giappone, ma anche il Belgio e la Francia, nonché la Germania, più eccellente degli altri, almeno in Europa. La nostra situazione è poi migliorata, quando nella scorsa legge di Stabilità sono stati inseriti incentivi alle aziende per l’acquisto di tecnologie avanzate. Ma l’Italia, pur vantando punte di diamante nella robotica, rischia di non salire in tempo su un treno che cambierà l’economia e la società del futuro prossimo: “Il 14,9% del totale degli occupati, pari a 3,2 milioni, potrebbe perdere il posto di lavoro entro 15 anni”, prevede un recente studio The European House-Ambrosetti.
Parte da qui l’inchiesta “Licenziati da un robot”, in copertina del nuovo numero di FqMillenniuM, il mensile del Fatto diretto da Peter Gomez, in edicola da domani. Dove si racconta che le macchine non “rubano” il lavoro alle persone – anzi, i Paesi più avanti mostrano tassi di disoccupazione minore – a patto che il processo sia governato dalla politica. In modo che gli impieghi cancellati dall’avvento di macchine e software sempre più sofisticati possano essere rimpiazzati da mansioni più qualificate. Anche qui, però, i numeri elaborati da FqMillenniuM restituiscono un quadro preoccupante: il valore aggiunto generato dall’industria negli ultimi dieci anni è diminuito in Italia del 2,1%, in Germania è aumentato del 3,8; la quota di Pil investita in ricerca e sviluppo è stata il 2,8% dalle parti di Merkel e appena l’1,3 dalle parti di Renzi-Gentiloni.