VARESE,
29 agosto 2013- E’
stata la maggior commessa italiana di sistemi militari di tutti gli anni ’90. Ed
è proseguita fino al 2009: destinazione Damasco, Siria. Valore
oltre400 miliardi di
lire (229 milioni di dollari). E’ la
fornitura di 500
sistemi di
puntamento
Turmsprodotti
dalle Officine
Galileo (divenute
poi Galileo Avionica, Selex Galileo e oggi Selex
ES sempre
del gruppo Finmeccanica) per
ammodernare i carri
armati T72 di fabbricazione sovietica: quelli che i militari
fedeli a Bashar al-Assad hanno usato per sparare sulla
popolazione. L’abbiamo ripetutamente
documentata su Unimondo –
allegando i documenti ufficiali tratti dalle Relazioni annuali del governo
italiano: l’ultima volta nell’agosto di due anni fa quando i carri armati
siriani cominciavano a bombardare la popolazione in
rivolta.
Da
allora ci sono stati – secondo le cifre ufficiali dell’Alto Commissario dell’Onu
(qui in
.pdf)
– 93mila
morti e due
milioni tra sfollati e rifugiati nei
paesi limitrofi e la guerra civile si è incancrenita. Oggi le potenze
occidentali annunciano un intervento
militare in Siria perché
l’impiego – tuttora da accertare – di armi chimiche da parte delle forze armate
del regime siriano avrebbe “sconvolto la coscienza del mondo”. Nel
frattempoquei carri
armati hanno continuato sparare grazie anche ai sistemi di
puntamento italiani mentre per oltre due anni la comunità internazionale non è
stata in grado di imporre un embargo sulle forniture di armi verso la Siria.
L’Unione
Europea, che dopo le prime repressioni violente nel maggio
2011 aveva
implementato un embargo di armi,
dallo scorso maggio ha addirittura deciso di allentare
le misure restrittive verso la Sirialasciando
cosi ad ogni paese membro di “decidere autonomamente”.
L’Italia
primo fornitore europeo di armi alla Siria
Certo,
le forniture militari italiane alla Siria di Bashar al-Assad sembrano poca cosa
se confrontate con quelle della Russia, ma anche
di Iran, Bielorussia e
Corea del Nord. Lo certificano i dati del SIPRI,
l’autorevole istituto di ricerca di Stoccolma: nell’ultimo decennio la Russia ha
esportato al regime siriano di Assad un ampio arsenale che va dai missili
portatili alle bombe teleguidate fino, probabilmente ai caccia MiG-29SMT per un
valore complessivi di oltre un miliardo di dollari.
Ma le
forniture militari italiane al regime siriano sono state di gran lunga superiori
a tutte quelle degli altri paesi europei: si
tratta, nell’ultimo decennio, dioltre 131 milioni di
euro di materiali militari effettivamente
consegnati. In gran parte sono proprio quei 500 sistemi di
puntamento per carri armati sovietici di cui si è detto all’inizio. Una
fornitura che non è passata inosservata agli attenti osservatori del SIPRI di
Stoccolma che, grazie alla documentazione fornita da Unimondo, l’ha riportata
nel suo SIPRI Yearbook
2013 in
un capitolo specifico dedicato alle forniture di armi alla Siria sia al regime
di Assad sia alle forze di opposizione.
Come
nel caso della Libia
di cui l’Italia è stata il primo fornitore europeo di
sistemi militari, e nonostante una normativa restrittiva come la legge
185 del 1990 vieterebbe
di esportare armi a Paesi “i cui governi sono responsabili di accertate
violazioni dei diritti umani”, i governi che si sono susseguiti in
questi anni nel nostro paese non hanno mancato di rifornire di
armi dittatori e regimi autoritari: dalle armi esportate
dai governi Berlusconi a
quelle autorizzate
dal governo Monti,
dalle armi spedite
a Gheddafia
quelle successivamente inviate
agli insorti libici,
dalle forniture di armi al governo
turcoa
quelle per l’esercito
kazako fino
a quelle spedite di recente alle
forze armate egiziane, gli
affari non sono mancati né per le industrie militari a controllo statale come
Finmeccanica, né per le aziende di “armi leggere” come la ditta Beretta. Lo
abbiamo puntualmente documentato su questo sito nel corso degli
anni.
Armi
leggere italiane spedite ai paesi confinanti con la Siria
Stando
ai dati governativi, le esportazioni di sistemi militari italiani verso la Siria
si sono interrotte nel 2011 con l’inizio delle sollevazioni popolari. Ma gli
attenti ricercatori dell’Osservatorio Permanente sulle Armi
Leggere (OPAL) di
Brescia hanno notato una singolare coincidenza: proprio a partire dal 2011
sono fortemente
aumentate le spedizioni di armi dal distretto armiero bresciano
verso tutti i paesi confinanti con la Siria. Il comunicato emesso
dall’Osservatorio OPAL riporta
una serie di minuziose tabelle elaborate sulla base dei dati dei rapporti
ufficiali dell’Unione Europea e dalle cifre fornite dall’ISTAT sulle
esportazioni di armi dalla provincia di Brescia. Se, stando ai rapporti europei,
l’Italia non avrebbe esportato negli ultimi due anni alcuna arma nemmeno ai
paesi confinanti con la Siria, le cifre fornite dall’ISTAT riportano
invece ingenti
esportazioni verso vari paesi confinanti tra cui soprattutto la
Turchia.
“Si
passa da meno di 1,7 milioni di euro di armi esportate da Brescia verso la
Turchia nel 2009 ad oltre 36,5 miliardi di euro nel
2012” – afferma Carlo Tombola,
coordinatore scientifico di OPAL. Sommate a quelle dei due anni precedenti fanno
quasi 80 milioni di euro. Facendo due conti si tratta di almeno 100-150mila
armi: ce né per rifornire più di un esercito. Un incremento di
esportazioni di tale portata non si spiega certo solo sulla base della domanda
di mercato o per un improvviso interesse da parte della popolazione turca nelle
armi da caccia o per il collezionismo. “Ed è difficile credere che si tratti
solo armi per il tiro al piattello” – aggiunge Tombola. Una sola ditta in Italia
è in grado di produrre tante armi in un solo anno: la Fabbrica d’Armi Pietro
Beretta di Gardone Valtrompia in provincia di Brescia. Che
sbandiera ai quattro venti gli affari per le forniture
per l’esercito degli Stati Uniti, ma
mantiene un assoluto riserbo sulle sue esportazioni di “armi comuni” verso paesi
a rischio o in zone di conflitto.
Esportazioni
che passano indisturbate
Tra le tipologie di armi riportate
dell’ISTAT figurano non solo le cosiddette “armi sportive” o
“per la difesa personale” ma anche tutta un’ampia gamma di pistole
semiautomatiche, fucili e carabine per le forze di polizia, fucili a pompa per
corpi speciali, contractors e forze di
sicurezza: tutto quanto cioè – come recita la legge
110 del 1975 che
ne regolamenta l’esportazione – non è destinato “al moderno armamento delle
truppe nazionali o estere per l’impiego bellico”. E qui sta il punto che OPAL ha
già rilevato in diversi casi: basta che le armi non siano destinate alle Forze armate
estere (per le quali è richiesta l’autorizzazione del Ministero
degli Esteri) e non abbiano le caratteristiche “per l’impiego bellico” ed è
fatta. Si possono esportare con una semplice autorizzazione rilasciata dal
Questore. “Abbiamo ripetutamente inviato al Questore di Brescia una dettagliata
documentazione chiedendogli di chiarire i destinatari effettivi e le specifiche
tipologie delle armi esportate dalla provincia di Brescia verso numerosi paesi a
rischio, ma finora non abbiamo ottenuto risposta”, ci dice Piergiulio Biatta,
presidente di OPAL.
E
così queste esportazioni di armi passano indisturbate anche perché – trattandosi
di “armi comuni” – non sono riportate né nella Relazione al parlamento italiano
né in quella all’Unione europea. Di fatto dovrebbero in qualche modo figurare
nelle relazioni europea. La normativa comunitaria, infatti,
richiede che tutte le esportazioni di armi automatiche e semiautomatiche e
relative munizioni destinate non solo ai militari ma anche a corpi di polizia e
alle forze di sicurezza vengano puntualmente comunicate dagli stati membri.
“È quanto mai grave che
l’Italia – che è uno dei maggiori produttori mondiali di queste
armi – continui a comunicare all’Unione europea cifre che non trovano
riscontro né nelle relazioni governative inviate al parlamento
né nei dati sulle esportazioni di armi forniti dall’ISTAT” – aggiunge Tombola. E
come Unimondo ha documentato le cifre fornite dall’Italia all’Unione europea
sulle esportazioni di armi nell’ultimo biennio sono
sempre al ribasso.
Funzionari confusi o complice omertà?