- il 17 maggio 2013 è nata ADL Varese - Democrazia, Trasparenza, Autonomia e Coerenza non devono essere solo delle parole vuote - ADL Varese non vuole essere ne più grande ne più bella ne più forte, ma semplicemente coerente -

- nel 1992 nascono FLMUniti Varese e CUB Varese, contemporaneamente nascono FLMUniti Nazionale e CUB Confederazione Nazionale -

- nel 2010 tutte le strutture di categoria della CUB Varese insieme a SDL Varese e RDB Varese si fondono e danno vita a USB Varese -

- nel 2013 USB Varese delibera a congresso l'uscita da USB e la nascita di ADL Varese mantenendo unite le precedenti strutture ex SDL Varese ex RDB Varese ex CUB Varese - -

martedì 26 febbraio 2019

SACRIFICATI IN NOME DELLA PRODUZIONE E’ SEMPRE PIU TRAGICO IL BILANCIO DELLE VITTIME SUL LAVORO Circa 4 morti al giorno compresi ferie e festivi Un bilancio tragico, non degno di un Paese che vuole definirsi civile

Le denunce di infortunio sul lavoro con esito mortale presentate all’INAIL nell’intero anno 2018 sono state 1.133, 104 in più rispetto alle 1.029 denunciate nel 2017, vale a dire una crescita annua del 10%. Già dai primi mesi del 2018 avevamo assistito impotenti ad un drammatico crescendo delle morti sul lavoro: all’inizio sembrava una crescita moderata, ma già nei primi otto mesi si registrava un aumento del 4,5%, salito poi a 8,5% in quello del mese successivo per toccare quota 9,4% ad ottobre e 9,9% a novembre. Una corsa al rialzo che non si è interrotta nemmeno nell’ultimo mese dell’anno.
La lunga serie di tragedie che in questo anno hanno insanguinato le più svariate aree del Paese ci rendono ancora più fermi nella nostra convinzione che la sicurezza e la salvaguardia della vita umana sono figli diretti della prevenzione: la mancanza di verifiche tecniche nella costruzione e manutenzione delle infrastrutture, la carenza di ispezioni e controlli nei luoghi di lavoro e la scarsa adozione di misure collettive ed individuali di protezione, stanno generando una situazione di fronte alla quale non è possibile restare indifferenti. Ed è ancora più doloroso riscontrare che a pagare i costi umani più pesanti della mancata sicurezza siano ancora i lavoratori più giovani, vittime innocenti di un sistema di lavoro sempre più precario ed insicuro, e gli anziani che, dopo lunghi decenni di lavoro pesante e spesso molto usurante, vedono ancora lontano il sospirato traguardo di una meritata pensione.
Ma in realtà l’elenco si allunga ulteriormente perché chi non è assicurato dall’INAIL non risulta negli elenchi, intere categorie che non compaiono nelle statistiche e quindi i loro morti sul lavoro diventano morti fantasma, così il 30% dei morti sul lavoro sparisce ogni anno dalle statistiche, che sommati agli elenchi ufficiali fanno salire il numero a 1450 lavoratori morti nel solo 2018.
Il precariato uccide tantissimi giovani e meno giovani, l’articolo 18 (L.300/70), abolito dal Governo con la complicità della parte più retriva degli industriali (e di molti sindacati) per tutti i nuovi assunti, ha fatto aumentare le morti sul lavoro, soprattutto tra i giovani assunti. Nell’industria sono quasi tutti lavoratori che lavorano in appalto a morire per infortuni: dipendenti di altre aziende, spesso artigianali, muoiono per infortuni nelle aziende stesse. Anche i Sindacati non s’interessano di questi lavoratori figli di un “dio minore” che non hanno tutele e lavorano in insicurezza e nessuno che li controlla.
Una miriade di altre professioni hanno morti sul lavoro, sono soprattutto addetti al servizio alle imprese, artigiani che lavorano per conto terzi. Molti lavori pericolosi che gli italiani in passato non volevano fare, ma che ora svolgono pur di lavorare. Ma ricordiamoci anche dei carabinieri che hanno perso la vita nell’esercizio delle loro funzioni per proteggere noi cittadini: anche loro nelle statistiche “spariscono”. Tutte le Forze Armate, i Vigili del Fuoco, innumerevoli Partite Iva, compresi i giornalisti, lavoratori in nero, tantissimi agricoltori schiacciati dal trattore, e tanti altri, non essendo assicurati all’INAIL spariscono dalle statistiche delle morti sul lavoro e fanno sembrare questo fenomeno di cui dovremmo vergognarci per le dimensioni, molto più lieve.
Un resoconto drammatico che conta 4 morti al giorno compresi ferie e festivi,
un bilancio tragico, non degno di un Paese che vuole definirsi civile.

domenica 24 febbraio 2019

Metà Salute: una montagna di soldi per affondare il SSN La Sanità integrativa alimenta il consumismo sanitario

La Sanità integrativa alimenta il consumismo sanitario
Negli ultimi anni si è progressivamente fatta largo l’idea che il cosiddetto “secondo pilastro”, generato da un complicato intreccio tra fondi sanitari, assicurazioni e welfare aziendale, sia l’unica soluzione per garantire la sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale (SSN), Al contrario noi pensiamo che l’espansione incontrollata del secondo pilastro è tra le macro-determinanti della crisi di sostenibilità del SSN. I fondi sanitari sono diventati in prevalenza sostitutivi di prestazioni già offerte dal SSN. In particolare le crepe di una normativa frammentata e incompleta hanno permesso all’intermediazione finanziaria e assicurativa di cavalcare l’onda del welfare aziendale, generando profitti grazie alle detrazioni fiscali di cui beneficiano i fondi sanitari e proponendo prestazioni che alimentano il consumismo sanitario e aumentano i rischi per la salute delle persone.
Negli ultimi anni il numero dei fondi sanitari è aumentato da 255 a 323, con incremento sia del numero di iscritti (da 3 a 11 milioni), sia delle risorse impegnate (da 1,6 a 2,5 miliardi di €), la sola Metasalute, fondo sanitario integrativo dei metalmeccanici, grazie all’ultimo rinnovo di CCNL, con la complicità di FIM FIOM UILM, è passato da poco più di 80 mila iscritti a oltre 1milione di iscritti.
La percentuale delle risorse destinate a prestazioni realmente “integrative” rimane stabile intorno al 30%, mentre, a fronte di un incremento medio annuo degli iscritti del 22,3%, quello delle risorse impegnate è del 6,4%: sostanzialmente i fondi incassano sempre di più, ma rimborsano sempre meno; I fondi che intrattengono “relazioni” con compagnie assicurative sono passati dal 55% nel 2013 all’85% nel 2017. Nel 2016 la spesa privata intermediata ammonta a 5.5 miliardi€ ed è sostenuta da varie tipologie di terzi paganti: 3.830,8 milioni€ da fondi sanitari e polizze collettive, 593milioni€ da polizze assicurative individuali, 576milioni€ da istituzioni senza scopo di lucro e 601milioni€ da imprese. I fondi sanitari registrati all’anagrafe ministeriale sono 323 per un totale di 10.616.847 iscritti.
Relativamente ai dati economici,i rimborsi effettuati dai fondi sanitari, sono pari a 2,33 miliardi€. Di tali risorse, quelle destinate a prestazioni integrative (es. odontoiatria, assistenza a lungo termine) sono poco più del 30%, ovvero quasi il 70% delle risorse copre prestazioni già incluse nei LEA.Il 40-50% dei premi versati non si traducono in servizi per gli iscritti perché erosi da costi amministrativi, fondo di garanzia (o oneri di ri-assicurazione) e da eventuali utili di compagnie assicurative. A fronte della crescente bramosia sindacale e imprenditoriale per le varie forme di welfare aziendale, i fondi sanitari offrono dunque ai lavoratori dipendenti solo vantaggi marginali, mentre a beneficiare dei fondi sanitari sono le imprese che risparmiano sul costo del lavoro,l’intermediazione finanziaria e assicurativa che genera profitti e la sanità privata che aumenta la produzione di prestazioni sanitarie.


In sostanza,
I fondi sanitari favoriscono la privatizzazione, generano iniquità e diseguaglianze, minano la sostenibilità, aumentano la spesa sanitaria delle famiglie e dello Stato, alimentano il consumismo sanitario tramite il sovra-utilizzo di prestazioni sanitarie che danno l’illusione di migliorare la salute delle persone ma che generano frammentazione dei percorsi assistenziali e compromettono una sana competizione tra gli operatori del settore. Con questi contratti, Fim-CISL Fiom-CGIL e Uilm-UIL, hanno permesso ai fondi integrativi di diventare prevalentemente sostitutivi mantenendo le agevolazioni fiscali e consentendo alle compagnie assicurative di intervenire come “ri-assicuratori” e gestori dei fondi in un contesto creato per enti no-profit, il tutto a discapito del SSN e favorendo le aziende che risparmiano sul costo del lavoro.

venerdì 22 febbraio 2019

Tempi lunghi per l’ospedale unico di Busto Arsizio e Gallarate.

L'area tra le due città è ancora prato e bosco, il progetto è al palo: il rinnovo dell'accordo di programma arriverà tra un anno. Astuti: "I due ospedali in condizioni veramente difficili. E non c'è chiarezza sul destino delle aree"
Tempi lunghi per l’ospedale unico di Busto Arsizio e Gallarate. È quanto è emerso ieri in commissione sanità del Consiglio regionale dove l’assessore al Welfare Giulio Gallera ha risposto all’interrogazione del consigliere Pd Samuele Astuti. Nel frattempo la giunta regionale aveva anche approvato una delibera definendo tempi e una prima stima delle risorse necessarie.
«Dall’assessore e dalla delibera sappiamo che l’unico punto fermo è cheentro la fine di gennaio del 2020, quindi tra un anno, ci dovrà essere l’accordo di programmatra gli enti interessati» dice Astuti. «Le risorse stimate sono di 350 milioni, ma non tengono conto dei costi dell’area, di eventuali bonifiche e della realizzazione di infrastrutture di trasporto, quindi sono ampiamente sottostimati. Nel frattempo i due ospedali di Busto e Gallarate sono in condizioni veramente difficili e tali rimarranno ancora per anni, e questo è un problema per i pazienti e per il personale».

giovedì 21 febbraio 2019

SANITÀ ospedale Angera “Stiamo lavorando per il rilancio dell’ospedale Ondoli”

L’Ospedale di Angera è all’attenzione dellaDirezione dell’ASST dei Sette Laghi e dell’ATS dell’Insubria, che intendono rilanciarlo e che, per farlo, contano sulla collaborazione del territorio. E’, in estrema sintesi, quanto emerso dalla riunione svoltasi questa mattina a Villa Tamagno tra la Direzione dell’ATS dell’Insubria, la Direzione dell’ASST dei Sette Laghi, il Direttore del Dipartimento della Donna e del bambino, prof. Massimo Agosti, il Direttore della Rete Integrata materno-Infantile, prof. Fabio Ghezzi, e tre rappresentanti dell’Associazione AMOR (Associazione mamme per l’Ondoli in rinascita).
“La Direzione dell’ASST dei Sette Laghi ha dimostrato fin dai primi giorni dell’anno, da quando cioè Angera è entrata a far parte di questa Azienda, grande attenzione per questo Ospedale, – ha esordito il Dott. Luca Gutierrez, DG dell’ATS dell’Insubria – Lo dimostrano non solo i progetti allo studio per rilanciare il nosocomio, ma anche il riconoscimento formale immediato del Tavolo di Monitoraggio e Programmazione Territoriale dell’Ambito, in cui fondamentale è il ruolo svolto dai Sindaci”.

martedì 19 febbraio 2019

TRASPORTI Piano Trenord, “nelle fasce pendolari è rimasto tutto come prima”

La denuncia di undici comitati lombardi e piemontesi gravitanti su Milano, che lamentano i mancati miglioramenti. Ma anche la riduzione dei viaggiatori sui pullman sostitutivi: "Alcuni hanno rinunciato e sono scdappati verso l'auto"
Il piano di Trenord non sta migliorando il servizio, a partire dalle fasce più frequentate. È l’accusa che arriva da undici pendolari lombardi (o comunque gravitanti su Milano: ci sono anche quelli di Domodossola, Alessandria e Novi Ligure), a due mesi dall’avvio del piano di Trenord che prevedeva la riduzione delle corse ferroviarie in ora di morbida, come sistema per ridurre le irregolarità e le soppressioni nell’arco della giornata. «Suggeriamo all’amministratore delegato di non fare paragoni continui con le altre Regioni del Paese, per autoincensarsi , visto che anche Altroconsumo denuncia la drammatica carenza di puntualità che affligge anche il nodo di Milano».


sabato 16 febbraio 2019

In piazza contro il decreto Pillon: «È una battaglia di civiltà

Centinaia di persone si sono incontrate in piazza del Garibaldino venerdì sera. Tante donne e uomini, ragazze e ragazzi per ribadire con chiarezza che “non si torna indietro sui diritti”
Siamo adulti e responsabili e i decreti Pillon vanno respinti perché riguarda i diritti di tutti» ha detto Gabriella Sberviglieri aprendo il momento di comizio.
varesenews.it

mercoledì 13 febbraio 2019

VARESE Pillon a Varese: una manifestazione spontanea per dire “Indietro non si torna”

E' stata indetta per venerdì 15 febbraio alle 18 una manifestazione in piazza del garibaldino: tra gli obiettivi anche formare un comitato permanente.
Indietro non si torna”: per dire no al disegno di legge Pillon e per ribadire che “Diritto di famiglia, Divorzio, 194 e Consultori non si toccano” è stata indetta per venerdì 15 febbraio alle 18 una manifestazione in piazza del garibaldino a Varese.
Durante la manifestazione il comitato promotore darà vita ad un  momento organizzativo permanente per dare continuita’ alle iniziative, e alla fine della manifestazione i manifestanti sono invitati a recarsi al convegno che si tiene al De Filippi con la presenza di Pillon.

GALLARATE “Fino a quando l’ultimo”, una resistenza operaia

“Fino a quando l’ultimo” è il titolo del film documentario che racconta la storia del Sulcis e della resistenza operaia dell’ex Alcoa: sarà proiettato al circolo Arci Cuac venerdì 15 febbraio.
Il circolo – che si trova in via Torino 64 – apre le sue porte alle 20, dalle 21 proiezione del film, alla presenza del regista Bruno Bigoni.
Una storia di “resistenza operaia”, con successo finale, rappresentato emblematicamente dall’ingresso dei lavoratori nell’azionariato della ex-Alcoa ora di proprietà svizzera. Una storia, simbolica per l’intero sistema Italia, che parte dall’eredità della cultura delle miniere sarde passata alla fabbrica dell’alluminio di Portovesme, e che ha attraversato l’epopea dell’industria di Stato, quella delle multinazionali americane, gli effetti della globalizzazione e delle delocalizzazioni, la lunga recessione, la crisi della rappresentanza politica e sindacale.
varesenews.it

lunedì 11 febbraio 2019

LEONARDO ELICOTTERI Radioprotezione e radiazioni ionizzanti a Cascina Costa L’AZIENDA VUOLE “DECLASSARE” I LAVORATORI ESPOSTI Da ora in poi non saranno più “esposti” anche se faranno lo stesso lavoro

La legge prevede che, quando ci sono delle macchine radiogene, l’azienda deve nominare un esperto qualificato che tiene sotto costante controllo sia l’ambiente sia i lavoratori, nel caso in cui ci siano dei lavoratori esposti al rischio di radiazioni ionizzanti (cancerogene), all’esperto qualificato si affianca anche un medico che deve seguire i lavoratori esposti con visite periodiche, esami, ecc…
La decisione sul grado di esposizione dei lavoratorispetta all’esperto qualificato che, qualche mese fa, ci ha comunicato di avere l’intenzione di ridurre il grado di rischio da “CAT-A” (il più alto) a “NON esposti” perché, secondo le valutazioni da lui fatte, negli ultimi anni il livello di radiazioni è sempre stato prossimo allo Zero. Prima di procedere, l’esperto (di recente nomina), ha voluto sentire il parere degli RLS per “correttezza” e per evitare problemi con i lavoratori, dato che lui deve rendere conto solo al datore di lavoro e che con gli RLS non è tenuto ne a consultarsi ne a coinvolgerli. L’esperto ci precisa che è sua intenzione aumentare il numero dei misuratori di radiazioni, mettendoli in più punti fissi rispetto a quelli indossati dai lavoratori, che non li dovranno più portare. L’esperto ci informa che ai lavoratori ha già spiegato le motivazioni che lo portano a questa decisione, anche se gli interessati si dicono non in accordo e alquanto preoccupati, visto che loro continuano a fare la stessa attività.
Dopo avere letto le varie disposizioni di legge in materia, si evince che l’esperto qualificato e il medico che segue i lavoratori, avrebbero dovuto, obbligatoriamente, partecipare alla riunione periodica annuale con gli RLS/RSPP ecc. e resocontarli sul proprio operato, ma negli ultimi 15 anni non si è mai visto ne uno ne l’altro alle riunioni. Inoltre veniamo a sapere che, fino a pochi mesi fa, era presente in azienda un isotopo radioattivo che richiede tutta una serie di precauzioni, come un piano di emergenza dedicato, un sistema di conservazione molto particolare, vista la pericolosità dell’elemento. Anche in questo caso non abbiamo mai visto ne un piano di emergenza dedicato e nemmeno come veniva stoccato tale componente,l’RSPP si limita a rispondere che è stato smaltito nell’aprile del 2018.
Ma quali sono le conseguenze: In primo luogo i lavoratori non verranno più sottoposti alle visite periodiche che servivano per prevenire eventuali problemi di salute derivanti dalle radiazioni (tumori) e non dovranno più indossare i misuratori di radiazioni, che era il primo campanello di allarme; Inoltre la legge DPR 384/90, che riguarda il settore ospedaliero, riconosce ai lavoratori esposti di “CAT-A” un’indennità economica e un periodo di ferie aggiuntivo all’anno, che i lavoratori potrebbero rivendicare a fronte di alcune sentenze di cassazione che hanno riconosciuto i medesimi diritti anche al di fuori dell’ambiente ospedaliero, per similitudine di rischio.
Davanti a questa situazione, invece di aspettare la risposta degli RLS, come detto “per correttezza”, l’esperto qualificato inoltra direttamente all’ASL la richiesta di “declassare” tutti i lavoratori che, con la formula del “silenzio assenso”, si considera approvata, invece l’ASL si prende lo “scrupolo” di venire a fare un sopraluogo in azienda prima di decidere sul da farsi. Ora vediamo l’ASL cosa decide dopo il sopraluogo,conseguentemente, noi valuteremo un eventuale esposto alla procura della repubblica.

venerdì 8 febbraio 2019

Reddito di cittadinanza, on line il sito internet: requisiti e paletti, a chi spetta

 Ai potenziali beneficiari viene spiegato quali sono i criteri per accedere al reddito e i documenti da presentare. C'è anche un video di presentazione che riassume brevemente come funziona la misura cardine del programma M5s.
Presentata anche la carta con cui verrà erogato il sussidio e che assomiglia molto ad una Poste Pay. "È la prova che le card esistono questa è la prima di 3 milioni".
"La Card per il reddito di cittadinanza sarà come una normale PostePay - ha detto Di Maio - perché nello Stato sociale che vogliamo chi accede ad un programma non deve essere riconosciuto o discriminato".
Reddito di cittadinza, chi può fare domanda
Di seguito riassumiamo brevemente i requisiti per ottenere il sussidio. Il reddito di cittadinanza può essere chiesto sia on line che attraverso i Caf o agli sportelli Postali (nel primo caso serve lo Spid). È obbligatorio per tutti presentare la dichiarazione ISEE che attesti di avere un reddito inferiore inferiore ai 9360 euro annui.
Un altro paletto riguarda il patrimonio immobiliare diverso dall’abitazione principale, che non deve essere superiore ad una soglia di 30mila euro.
Il reddito sarà erogato su una carta simile alla Poste Pay con il logo di Poste Italiane. È possibile prelevare fino a 100 euro in contanti per i single e fino a 210 euro per le famiglie numerose. Attenzione però: i soldi del reddito dovranno essere spesi tutti, altrimenti il mese successivo l’assegno sarà decurtato del 20%.
L’assegno (per un single) sarà di 780 euro solo se il richiedente vive in affitto; se il percettore ha una casa di proprietà in cui abita avrà diritto a 500 euro, se su quella casa ha un mutuo da pagare potrà percepire fino a 650 euro. Nel caso di famiglie, o single con figli a carico, l’importo aumenta. Una famiglia con due adulti e due figli piccoli (sotto i 14 anni) percepirà ad esempio 1180 euro, fino ad un importo massimo di 1330 euro mensili per famiglie particolarmente numerose composte da tre adulti e almeno due figli. Ma attenzione: il reddito è fino ad "esaurimento scorte". 
today.it
redditodicittadinanza.gov.it

domenica 3 febbraio 2019

Ministra Grillo, rifletta. È ancora in tempo per non distruggere il Servizio sanitario nazionale Art. Vittorio Agnoletto

Si sono appena concluse le celebrazioni per il 40° anniversario della riforma sanitaria che la ministra Grillo subito ne annuncia la volontà di archiviarla definitivamente. La riforma fu approvata nel 1978 e superati i primi anni di rodaggio il nostro Servizio sanitario nazionale fu riconosciuto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come uno dei migliori di tutto il mondo, universale e gratuito, finanziato alla fonte con la fiscalità generale da ogni cittadino in rapporto al reddito.
Tanto tempo è passato e il nostro Ssn risulta molto ammaccato sotto i colpi della privatizzazione e dei tagli del finanziamento pubblico operati da tutti gli ultimi governi. Oggi tutte le ricerche svolte sul campo, documentano l’impossibilità di curarsi per milioni di persone. La spesa sanitaria privata è cresciuta fino a 40 miliardi di euro, 7 milioni di italiani sono indebitati e 2,8 milioni vendono la casa per curarsi secondo l’VIII Rapporto Censis-Rbm Assicurazione Salute relativo al 2017<http://www.welfareday.it/pdf/VIII_Rapporto_RBM-Censis_SANITA_def.pdf>; in tale anno l’esborso medio procapite per curarsi è stato di 655 euro, una cifra proibitiva per ampie fasce di popolazione.
Il pendolarismo per le cure dal sud al nord non accenna a diminuire in un sistema senza equità: le Regioni del Mezzogiorno hanno in media un anno in meno di aspettativa di vita rispetto a quelle del nord e questo divario aumenta fino a tre anni se misurato per la popolazione di 65 anni. E’ interessante notare che se si paragona il livello di assistenza sanitaria fornita dalle Regioni del sud Italia con i servizi forniti da nazioni, quali ad esempio il Portogallo, che hanno un Pil simile, la qualità delle prestazioni del nostro sud è superiore. Al di là di episodi di malcostume, di corruzione ecc. ecc. che certamente ci sono, il divario tra Nord e Sud rimanda quindi ancora una volta al diverso livello di sviluppo, alla carente presenza di infrastrutture e alle differenze di reddito.
E’ vero che al nord è più facile curarsi, ma è altrettanto vero che ad esempio in Lombardia diventa sempre più evidente che si cura chi può ricorrere al vastissimo settore privato scavalcando le infinite liste di attesa; anche in questo caso la diversità di reddito fa la differenza nella possibilità di curarsi in tempo utile. 
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