Si sono appena concluse le celebrazioni per il 40° anniversario della riforma sanitaria che la ministra Grillo subito ne annuncia la volontà di archiviarla definitivamente. La riforma fu approvata nel 1978 e superati i primi anni di rodaggio il nostro Servizio sanitario nazionale fu riconosciuto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come uno dei migliori di tutto il mondo, universale e gratuito, finanziato alla fonte con la fiscalità generale da ogni cittadino in rapporto al reddito.
Tanto tempo è passato e il nostro Ssn risulta molto ammaccato sotto i colpi della privatizzazione e dei tagli del finanziamento pubblico operati da tutti gli ultimi governi. Oggi tutte le ricerche svolte sul campo, documentano l’impossibilità di curarsi per milioni di persone. La spesa sanitaria privata è cresciuta fino a 40 miliardi di euro, 7 milioni di italiani sono indebitati e 2,8 milioni vendono la casa per curarsi secondo l’VIII Rapporto Censis-Rbm Assicurazione Salute relativo al 2017<http://www.welfareday.it/pdf/VIII_Rapporto_RBM-Censis_SANITA_def.pdf>; in tale anno l’esborso medio procapite per curarsi è stato di 655 euro, una cifra proibitiva per ampie fasce di popolazione.
Il pendolarismo per le cure dal sud al nord non accenna a diminuire in un sistema senza equità: le Regioni del Mezzogiorno hanno in media un anno in meno di aspettativa di vita rispetto a quelle del nord e questo divario aumenta fino a tre anni se misurato per la popolazione di 65 anni. E’ interessante notare che se si paragona il livello di assistenza sanitaria fornita dalle Regioni del sud Italia con i servizi forniti da nazioni, quali ad esempio il Portogallo, che hanno un Pil simile, la qualità delle prestazioni del nostro sud è superiore. Al di là di episodi di malcostume, di corruzione ecc. ecc. che certamente ci sono, il divario tra Nord e Sud rimanda quindi ancora una volta al diverso livello di sviluppo, alla carente presenza di infrastrutture e alle differenze di reddito.
E’ vero che al nord è più facile curarsi, ma è altrettanto vero che ad esempio in Lombardia diventa sempre più evidente che si cura chi può ricorrere al vastissimo settore privato scavalcando le infinite liste di attesa; anche in questo caso la diversità di reddito fa la differenza nella possibilità di curarsi in tempo utile.
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