LATINA
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Per lavorare dalle 12 alle 15 ore nelle campagne dell'Agro pontino e non sentire
la fatica, centinaia di immigrati pagati quattro euro
l’ora, in prevalenza sikh del Punjab indiano, sono costretti ad
assumere stupefacenti come anfetamine e oppio. E' la drammatica condizione
descritta dal dossier "2014 - Doparsi per lavorare come
schiavi" della onlus In Migrazione.
Una
forma di doping vissuto con vergogna e praticato di nascosto perché contrario
alla loro religione e cultura, oltre a essere severamente contrastato dalla
propria comunità. Eppure per alcuni lavoratori sikh si tratta dell'unico modo per
sopravvivere ai ritmi di lavoro imposti, insostenibili senza quelle
sostanze. Quella dell'agro pontino è la seconda comunità sikh
d'Italia per dimensioni e rilievo. La richiesta di forza-lavoro non qualificata
e facilmente reperibile da impiegare come braccianti nella coltivazione delle
campagne ha incentivato la migrazione e convinto molti sikh a stabilizzarsi
nelle provincia di Latina. Secondo le stime della Cgil la comunità arriva a
contare ufficialmente circa 12mila persone, sebbene sia immaginabile un numero
complessivo intorno alle 30mila presenze.
L'esercito
silenzioso di uomini piegati nei campi a raccogliere ortaggi è al lavoro a volte
tutti i giorni senza pause.
Raccolta manuale di ortaggi, semina e piantumazione per 12 ore al giorno filate
sotto il sole, chiamano "padrone" il datore di lavoro, subiscono vessazioni e
violenze di ogni tipo. Quattro euro l'ora nel migliore dei casi, con pagamenti
che ritardano mesi, e a volte mai erogati, violenze e percosse, incidenti sul
lavoro mai denunciati e "allontanamenti" facili per chi tenta di reagire.
Persone che per sopravvivere ai ritmi massacranti e aumentare la produzione dei
"padroni" italiani sono letteralmente costretti a doparsi con sostanze
stupefacenti e antidolorifici che inibiscono la sensazione di fatica e
stanchezza.
Il
presidente della Commissione Ambiente Realacci ha presentato un'interrogazione ai ministri
dell'Interno e del Lavoro sul caso. "Dal dossier 'Doparsi per
lavorare come schiavi' della onlus InMigrazione - afferma Realacci -emergerebbe
una nuova gravissima e vergognosa declinazione del fenomeno del caporalato in
agricoltura, in particolare dello sfruttamento dei braccianti migranti. Oltre a
lavorare spesso in nero, dalle 12 alle 14 ore al giorno, domenica compresa,
maneggiando trattamenti chimici e agrofarmaci senza alcuna protezione, i
braccianti della comunità indiana dei Sikh nell'Agro Pontino - prosegue Realacci
- sarebbero costretti anche ad assumere sostanze 'dopanti' come oppio e
metamfetamine per resistere alla fatica e la dolore. Sostanze che gli verrebbero
direttamente fornite dagli stessi caporali".