La denuncia delle cooperative riunite in “Social pride”: dopo lo scoppio dell’inchiesta molti bandi sono stati fermati. “Servono nuove regole chiare, ma a pagare non possono essere gli operatori, oggi messi in mezzo a una strada”
10 giugno 2015
ROMA – “Siamo noi le vere vittime di Mafia Capitale. Siamo noi, insieme agli utenti dei servizi, gli unici che stanno pagando le conseguenze di un sistema che non abbiamo creato. Uccisi due volte, per il danno d’immagine e per la perdita del lavoro”. Lo ripete con forza Carlo De Angelis, portavoce del Social pride, il movimento che a Roma racchiude diverse realtà del terzo settore. Tra queste anche tante cooperative che dopo l’inizio dell’inchiesta hanno dovuto cessare la loro attività. Altre, pur rimanendo in piedi, sono state costrette a licenziare o a mettere in cassa integrazione i propri lavoratori, altre ancora sono in attesa che si sblocchino alcuni bandi per poter ricominciare a lavorare.