526 milioni. Questa la risibile
quantità di euro che separa il piano economico predisposto da Varoufakis e dai
tecnici economici e finanziari del governo greco da quanto richiesto a gran voce
dalla Troika. 526 milioni a fronte di un debito di 350 miliardi che rischiano di
essere perduti dai creditori internazionali, tra cui l’Italia per la modesta
cifra di 40 miliardi. Questo l’azzardo di una snervante partita a poker sulla
pelle dei cittadini greci, quelli più indifesi naturalmente. Dopo che lo stesso
FMI ha ammesso gli errori fatti in Grecia: le scelte economiche di austerità non
hanno curato la malattia greca, infatti è aumentato il rapporto debito/PIL
(180%), l’impoverimento drammatico della popolazione ellenica e il dilagare
della disoccupazione (27%). Una quisquilia se la rapportiamo ai 387 miliardi
bruciati dal ribasso borsistico di lunedì 30 giugno, prodotto dall’effetto di
ritorno del rifiuto greco del piano presentato da Junker a nome dell’Unione
Europea.
È chiara a tutti la differenza tra
milioni e miliardi?!!!
Le cifre nella loro secchezza ci
raccontano che quello che è in palio nel laboratorio greco non è tanto il
default economico quanto l’imperio politico definito dalla Troika:
un’incrinatura può far passare un soffio che in Europa potrebbe trasformarsi,
nel prossimo futuro, in un vento di cambiamento profondo, a principiare dalla
Spagna. Di qui la necessità di ribadire chi decide, chi
comanda.
La scelta di Tsipras di sospendere
le trattative e chiamare il popolo greco ad esprimersi attraverso il referendum
è una lezione di democrazia diretta che ci viene, ancora una volta, da Atene.
L’unica risposta possibile e compatibile col mandato elettorale che Syriza ha
ottenuto e che aveva esplicitato nel programma di governo. Dunque, giustamente,
la scelta aspetta al popolo.
Ora c’è la corsa massmediatica a
indicare in Tsipras il colpevole dell’uccisione dell’Europa, la ricerca di un
nuovo compromesso, le interessate esortazioni di Obama e della Cina, di tutti
quelli a cui è utile una formale Unione Europea.
Ma c’è un aspetto che va richiamato
all’attenzione, posto che è sottaciuto nel dibattito che imperversa: la
prospettiva economica che viene occultata e che si verrebbe ad aprire in caso di
default greco, con paracadute o meno, vede avvantaggiarsi le economie ‘forti’
europee, a cominciare dalla Germania, Francia e anche Italia, che vedrebbero
incentivate le esportazioni delle loro produzioni nei mercati internazionali,
favorite da un deprezzamento del nostro e euro nei confronti del dollaro. Un bel
assist alle spompate economie europee, alle prese con una ripresa produttiva
stentata o drogata dagli incentivi fiscali e monetari.
Non a caso i più solerti ad
intervenire invitando le parti a riconsiderare le posizioni espresse sono stati
il ministro degli esteri cinese e mister Obama che si muovono a difesa delle
loro economie che ne potrebbero risentire. Per Obama e la Nato si aggiunga
qualche preoccupazione geopolitica in più.
Due sono, dunque, le pressioni
esterne che vogliono la Grecia fuori dalla zona Euro, sono due pressioni potenti
eminentemente europee, nonostante che il pugno battuto sul tavolo sembri quello
della signora Lagarde del FMI.