A 25 anni dall’entrata in vigore della legge che vieta l’esportazione di armi in zone dove sono in corso conflitti, i dati della Rete Italiana Disarmo. Il Parlamento ha concesso autorizzazioni per 54 miliardi di euro. Le armi made in Italy finiscono in 123 nazioni
09 luglio 2015
ROMA - Sono passati 25 anni dalla di approvazione della legge 185/90 “Nuove norme sul controllo dell'esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento” che vieta l’esportazione di armi in paesi in cui è in corso un conflitto armato. Eppure ancora oggi l’Italia vende pistole e fucili in 123 paesi al mondo per un valore di 54 miliardi di euro di autorizzazioni e 36 miliardi di controvalore per effettive consegne di sistemi d’arma. Sono i dati presentati oggi alla Camera dalla Rete Italiana per il Disarmo.
La legge 185/90 prevede non solo il divieto di esportazione di armamenti verso paesi in stato di conflitto ma anche verso paesi in cui sono violati i diritti umani. Nei primi anni di applicazione i principi innovativi della legge e il controllo, esercitato anche tramite una relazione al Parlamento da parte del Governo, hanno permesso la diminuzione della vendita verso paesi con situazioni problematiche. Un trend che dal 2009 ha cambiato verso. Secondo Giorgio Beretta analista di Opal Brescia: “I numeri non mentono: l’Italia ha venduto armi soprattutto in Medio Oriente e nel Nord Africa, regioni tra le più turbolente e le autorizzazioni del Parlamento sono aumentate. Sapere con precisione a quale paese vendiamo riguarda in primo luogo la nostra stessa sicurezza”. Nel complesso esportiamo pistole, fucili, carabine italiane negli Usa, in Gran Bretagna, Arabia Suadita, Emirati Arabi Unici ma anche Germania, Turchia, Francia e Spagna. Le nostre armi finisco anche in Malesia, Algeria, India, Pakistan.