L'egemonia culturale dei padroni impoverisce la contrattazione nel pubblico
impiego
L' egemonia culturale dei
padroni sta coinvolgendo anche il pubblico impiego, a colpi di pareri
Aran, circolari della Funzione Pubblica e articoli su riviste
specializzate, si ricorre ad una continua emergenza che si traduce nella
negazione di diritti e nel drastico ridimensionamento della contrattazione
collettiva.
Ricordiamoci tuttavia il punto di
partenza di questa strategia ossia la continua emanazione di decreti
legislativi che hanno annullato gran parte del potere di contrattazione nel
pubblico impiego.
Gli strateghi confindustriali non
vogliono correre il rischio, che partendo da conflitti locali si riaffermino
istanze di riappropriazione salariale e iniziative atte a conquistare tutele
individuali e collettive, per questo scaricano sul “lavoro pubblico”, con tutti
i loro mezzi comunicativi, campagne disinformative volte a depotenziare
qualsiasi rivendicazione di largo respiro.
Ne è l’ esempio quanto apparso
recentemente su IL Sole 24 Ore, che con l’ accattivante titolo “Rischio di
blocco per i “premi” al personale” a firma di A. Bianco e riferito al comparto
Regioni AA.LL., si presta ad alimentare un clima di paura e di
incertezza, anche se le problematiche che esistono sono solo di tipo "tecnico
burocratico" legate al nuovo sistema di armonizzazione di bilanci degli
Enti Locali che si applicherà nel 2016.
Fra l' altro di tutto questo ,
Aran, Funzione Pubblica e Enti locali non hanno fornito
informazione a sindacati e Rsu.
Di cosa stiamo parlando
intanto?
Il D.Lgs. n. 126\2014 introduce
nuove regole per gli equilibri di bilancio (ricordate il pareggio di
Bilancio in Costituzione ?). Il legislatore si muove sulla linea tracciata dal
fiscal compact, quindi è naturale, per i loro fini legati alla riduzione dei
diritti sociali, che vogliano un controllo più severo sui bilanci, su crediti e
debiti esigibili.
Sotto il profilo strettamente
tecnico il pericolo paventato non sussiste, come anche la lettura attenta
dell’ articolo lo conferma, in quanto la pressoché totalità delle risorse non
corrisposte dei fondi della contrattazione nell’ anno di competenza è
riconducibile di fatto ai piani della performance ( produttività collettiva e
individuale in parole povere ), che per buona norma comprende (di sicuro) le
risorse variabili previste nel fondo. Ricordiamo che il presupposto per l’
erogazione di tale quota di salario è l’ intervenuta valutazione del
dipendente che avviene per forza l' anno successivo.
Qualche problema potrebbe invece
nascere con la parte variabile del fondo a partire dal 2016, in quanto
l'incremento dei fondi ad opera della amministrazione ancor di più sarà legato
alla programmazione, per cui al Documento Unico di Programmazione ( DUP) e a
seguire al Piano Esecutivo di Gestione ( Peg) quale strumento di maggior
dettaglio del DUP, al Piano degli Obiettivi (Pdo) ed al Piano delle Perfomances
individuale e organizzativa.
Preoccupano per le evidenti
lacune in fatto di programmazione, riconducibili a politici e dirigenti, gli
effetti salariali di tutto questo, perché quando si parla di piani di
miglioramento legati agli obiettivi, di interventi di razionalizzazione della
spesa o di consolidamento di nuovi servizi, gli enti locali non sono un buon
esempio, soprattutto per l' incapacità di individuare a inizio anno e
certificare, in ogni suo passaggio, questi percorsi.
L' apertura di conflitti e
rivendicazioni complessive ad inizio d' anno, quale sfida conflittuale su
queste tematiche anche in ordine ai tempi, deve divenire pertanto elemento
percepito da tutto il personale, per evitare che il salario finisca per divenire
una cosa "incerta", finendo ostaggio dei tempi di approvazione dei diversi atti
di programmazione annuale.
Va letta in questo quadro e in
prospettiva futura l’ incertezza regnante in materia di armonizzazione dei
bilanci, soprattutto per quanto attiene l'utilizzo dei residui dell’ anno
precedente ( nel caso specifico il 2015) del fondo del salario accessorio.
Senza voler entrare in un esasperato tecnicismo circa la classificazione di
questi avanzi, a seguito del loro riaccertamento come residui nei fondi "a
destinazione vincolata", gli effetti derivanti certi sono quelli che la
loro effettiva disponibilità/erogabilità dipenderà dall' approvazione dei
relativi atti contabili.
Ecco perché occorre mutare
radicalmente l' approccio alla contrattazione collettiva, per evitare questo
rischio e ridurre drasticamente il potere della controparte condizionare con i
suoi interessi la stessa contrattazione.
Va superata immediatamente l'
antica desuetudine, che va spesso oltre qualsiasi previsione cautelare anche per
mancanza di adeguati controlli sindacali sui contenuti delle previsioni di
utilizzo, che le somme destinate agli istituti contrattuali, soprattutto quelle
legate alle varie indennità ma a volte anche quelle previste per forme di
salario fisso e ricorrente come PEO o indennità di comparto, siano
determinate per eccesso finendo in parte per non essere
utilizzate.
In una situazione di incertezza,
dettata non tanto nelle disposizioni dei CCNL quanto alla confusione determinata
dalla armonizzazione del bilancio 2016 (che potrebbere valere anche negli anni
successivi), si possono determinare alcuni rischi, per esempio "rifiuti o
ostruzionismi" degli Enti a destinare le economie del fondo 2015 alla parte
variabile del 2016.
Per il grado di disordine che regna
in materia di Bilanci degli Enti Locali, è oltremodo opportuno neutralizzare
questi possibili rischi inserendo nei CCDI specifiche clausole volte a far
confluire tutte le risorse non utilizzate nell’ anno, rispetto alla destinazione
prevista, in aggiunta al fondo della produttività comunque denominato, e
preferibilmente a favore della performance organizzativa legata a valutazioni
collettive.
Per queste ragioni l'
obiettivo di erogare il fondo annuale nella sua interezza diventa pertanto
obbligatorio, e quindi la parola d'ordine è quella di "spendere" sempre e
comunque tutto il fondo.
Allo stesso modo andavano evitati
"accantonamenti" di risorse proprio per l’ incertezza di esigibilità che
determinano, in rapporto ai nuovi criteri di bilancio, e ai fini di una
riproposizione nell’ anno successivo. Fra l' altro l'assurda abitudine
riscontrata in certi enti di fare accantonamenti (senza destinazione),
costituisce un illogico approccio di parte sindacale alla contrattazione
collettiva che determina la rinuncia a distribuire salario nell’ anno. Da parte
del datore di lavoro questi accantonamenti erano spesso utilizzati per
intervenire e "alterare" la distribuzione delle risorse degli anni successivi a
vantaggio di pochi.
Comunque resta inaccettabile, dal
messaggio mediatico, associare velatamente tutto questo alla mancata
definizione entro l’ anno di competenza della contrattazione decentrata
integrativa, con l’ intento subdolo di colpevolizzare la parte sindacale per
l'allungamento dei termini contrattuali.
Insomma il messaggio che si
vuol far passare è chiaro: chiudi con i bilanci anche i contratti decentrati,
il sindacato non entri nel merito della proposta di parte pubblica ma la
accetti in toto rinunciando a conquistare salario maggiore.
Questa è la situazione registrata
soprattutto negli enti più piccoli nei quali anche la composizione del fondo
diventa spesso una impresa titanica, per tempi ed esatta conoscenza dei
contenuti.
Su questi temi occorre sfidare la
controparte “padronale”.
Oramai a tutti è noto che gli
obiettivi dati agli enti locali dal nazionale sono finalizzati a scongiurare sul
nascere la presentazione di piattaforme rivendicative “forti” da parte del
personale, per cui si ritarda scientemente la costituzione del fondo,
riconducendolo, per molti aspetti immotivamente, a dopo approvazione del
bilancio di previsione e alla definizione del PEG e del conseguente Piano degli
Obiettivi.
Se si riprendono i riferimenti
della “road map” della contrattazione decentrata integrativa, che lo stesso
autore dell’ articolo, ha indicato più volte da anni come corretto approccio
alla stessa ( ovviamente dimenticata dalla parte pubblica e dagli organi di
stampa confindustriali), si rileva infatti che i presupposti del CCDI
sono:
-prima dell’ inizio della
Contrattazione – Da parte della Giunta Comunale - Direttiva in merito agli
obiettivi della contrattazione decentrata e/o alla costituzione del fondo
(risorse variabili) ed utilizzo dello stesso (criteri generali per l’impiego
delle risorse);
- la determinazione del
dirigente/funzionario responsabile per la costituzione del fondo (stabili e
variabili). La determinazione viene inviata alle OO.SS. ed alle RSU come
informazione successiva (art. 7 CCNL 01.04.99).
Con quali tempi, contenuti e metodi
sono emanati questi atti?
E con quali tempistiche? La volontà
è quella di porre in grado e consentire alla rappresentanza sindacale di poter
disporre di elementi certi per presentare piattaforme rivendicative in base a
quanto previsto dai CCNL di comparto?
Nella stragrande maggioranza dei
casi questo non avviene, anzi strumentalmente questi atti unilaterali
obbligatori degli Enti vengono ritardati, spostati verso la parte finale dell’
anno per mitigare o rendere ininfluenti le richieste delle rappresentanze
sindacali .
E poi, la partita di incremento
delle risorse variabili, ( art. 15 commi 2 e 5 del CCNL 01/04/1999 Regioni
AA.LL.) quale correlazione ha con gli obiettivi sui quali si misura la
performance del personale legata alla valutazione individuale o a quella
organizzativa di gruppo o di Ente?
In che modo poi la
performance è conosciuta dal personale?
Pensiamo che gli obiettivi spesso e
volentieri vengono dati con grande ritardo. Insomma, in qualunque modo la si
metta, la performance è un inganno i cui meccanismi sono oscuri alla stragrande
maggioranza del personale, che la subisce con riduzioni salariali e una
organizzazione del lavoro sempre meno sostenibile.
Chi continua a parlare di
partecipazione del personale alla performance mente sapendo di
mentire.
Allora chiariamoci bene le idee
prima che qualcuno, con burocratico e nebuloso tecnicismo, ci venga a raccontare
che potrebbe essere rimessa in discussione l’ erogazione di tutte le risorse del
salario accessorio per costringere ad accettare senza discutere le proposte
aziendali, ritardate ad arte per tempi e conoscenza degli obiettivi.
Bisogna sfidarli allora i “padroni”
sui loro temi, costringerli ad assumersi i rischi di provvisori atti
unilaterali se la composizione e destinazione del fondo non tutela gli
interessi generali di lavoratrici e lavoratori, anzi alimenta
strumentalmente divisioni fa gli stessi. Gli atti unilaterali non sono una
sconfitta sindacale ma il rifiuto del sindacato a sottoscrivere accordi a
perdere, voluti da chi per legge vuole abbassare solo i salari, e devono
diventare il punto di partenza per i conflitti.
Questo bisogna sempre ricordarlo ai
concertatori confederali, per i quali il ruolo delle RSU è sottoscrivere di
tutto e di più, prendendo per oro colato i pareri delle segreterie generali, del
collegio dei revisori, e degli organi di controllo interno.