Monica, può spiegarci in cosa consiste esattamente l'accordo?
L’EU–Canada Comprehensive Economic and Trade Agreement (CETA) è un accordo commerciale tra il Canada e l’Unione Europea che, come tutti i trattati di nuova generazione, trae i suoi maggiori vantaggi non dall’abbattimento delle barriere tariffarie che rallentano gli scambi tra le due sponde dell’Atlantico, ma di quelle non tariffarie: ossia regole, standard di prodotto, di processo, che spesso e volentieri difendono la nostra sicurezza e la nostra salute, pur generando costi aggiuntivi per le imprese. Per queste stesse ragioni ci siamo mobilitati contro il TTIP, e il 5 luglio saremo in piazza a Montecitorio con Coldiretti, Cgil, Greenpeace, Slow food, i consumatori e molte altre associazioni: il CETA non deve essere ratificato dal parlamento italiano e va riaperta una discussione in Europa su come si può accompagnare con le regole adatte un commercio libero e giusto senza danneggiare l’occupazione, l’ambiente, i diritti.
Qual è il vero impatto dell'accordo CETA sugli scambi commerciali?
La Commissione europea sostiene che il CETA aumenterà l’interscambio UE-Canada di merci e servizi del 23% e il prodotto interno lordo dell’UE di circa 12 miliardi di € l'anno. Questo perché rimuoverà il 99% circa delle tariffe nel commercio UE-Canada permettendo un maggiore accesso al mercato da parte delle imprese di entrambi i blocchi. Peccato che la base di dati sulla quale sono calcolate queste stime non tiene conto della Brexit, cioè nei presunti ‘vantaggi’ sono ancora tenuti in conto quelli che avrebbe portato a casa la Gran Bretagna. Senza considerare che altri studi d’impatto dimostrano che il trattato porterà a un incremento dello 0,09% annuo del Pil europeo dopo non meno di sette anni dalla sua entrata in vigore. E che secondo la Tuft university americana nella sola Italia sono a rischio fino a 30mila posti di lavoro per la concorrenza dei prodotti e servizi canadesi.