- il 17 maggio 2013 è nata ADL Varese - Democrazia, Trasparenza, Autonomia e Coerenza non devono essere solo delle parole vuote - ADL Varese non vuole essere ne più grande ne più bella ne più forte, ma semplicemente coerente -

- nel 1992 nascono FLMUniti Varese e CUB Varese, contemporaneamente nascono FLMUniti Nazionale e CUB Confederazione Nazionale -

- nel 2010 tutte le strutture di categoria della CUB Varese insieme a SDL Varese e RDB Varese si fondono e danno vita a USB Varese -

- nel 2013 USB Varese delibera a congresso l'uscita da USB e la nascita di ADL Varese mantenendo unite le precedenti strutture ex SDL Varese ex RDB Varese ex CUB Varese - -

lunedì 18 novembre 2019

Taranto: dopo l’ennesima privatizzazione la storia infinita si ripete I disastri della privatizzazione delle acciaierie di Taranto.

Il nostro paese è ormai in mano delle multinazionali e delle loro ciniche pretese. La vicenda della ex Ilva di Taranto lo dimostra abbondantemente.
Per capirci qualcosa, non possiamo limitarci a osservare superficialmente le beghe di partito, gli scontri all’interno della maggioranza di governo e i commenti dei media appiattiti sugli interessi di ArcelorMittal (di seguito Am), ma dobbiamo calare queste polemiche nel contesto della nuova crisi in arrivo e delle strategie globali per il controllo del mercato dell’acciaio. In questo contesto l’Italia sta subendo passivamente le altrui mire egemoniche.
Nel 1965 la società pubblica Italsider inaugura lo stabilimento di Taranto. La fabbrica diventa il più importante stabilimento siderurgico del vecchio continente, che rifornisce non solo l’industria meccanica del Nord Italia, ma gran parte dell’Europa, crea ricchezza e occupazione ed è una delle locomotive del boom economico.
Nel 1995, a seguito della stagione delle privatizzazioni, Italsider, che era stata valutata 4 mila miliardi, viene acquistata dal gruppo Riva, che avrebbe dovuto rilanciare lo stabilimento, per soli 2.500 miliardi e diviene Ilva.
I primi problemi di impatto ambientale e di gravissimi danni alla salute pubblica iniziano proprio in quegli anni. 11.500 saranno i casi di morte attribuiti alle emissioni dai periti della Procura di Taranto. Il rischio di contrarre tumori per la popolazione circostante, anche infantile, e per gli operai, è elevatissimo e conseguentemente la magistratura, nel 2012, ordina il sequestro della fabbrica, definita dai giudici “fabbrica di malattia e morte”, e pone sotto indagine i vertici aziendali (la famiglia Riva). Il governo Monti, per tutelare i 13 mila addetti, oltre a quelli dell’indotto, non trova di meglio che autorizzare per decreto la prosecuzione della produzione.
Ma pochi mesi dopo, siamo nel 2013, il gip Patrizia Todisco dispone il sequestro di 8 miliardi di euro sui beni dei Riva, frutto dei mancati investimenti sulla tutela ambientale. La Cassazione annulla il sequestro ma i Riva lasciano il Consiglio d’Amministrazione e l’azienda viene commissariata dal Governo. Ma quel governo e quelli successivi non prendono nessun provvedimento significativo per risolvere il problema ambientale e, nel 2016, lo Stato si limita a mettere all’asta la fabbrica.
L’asta viene aggiudicata alla più grande multinazionale del settore - la franco-indiana Am che ha stabilimenti in tutto il mondo - nonostante che quest’ultima abbia posto come condizione per proseguire l’attività industriale e per attuare il piano ambientale un provvedimento ad hoc per garantirle una sorta di immunità penale.