Riconvertire e diversificare di più.
Se Non Ora Quando?
La crisi dell’holding della Difesa e
Sicurezza Finmeccanica è iniziata nel 2008, quando si sono intrecciati
avvenimenti che hanno portato il gruppo ad accumulare perdite di oltre tre miliardi di euro nei
bilanci 2011 e 2012. Il 2008 non è solo l’anno della crisi finanziaria mondiale
che ha visto il salvataggio di banche con denaro pubblico, ma quello in cui
Finmeccanica acquista la statunitense DRS, pagandola ad un prezzo più alto del
suo valore compresi i debiti.
Negli anni successivi si sono moltiplicate
inchieste per utilizzo di fondi neri per agevolare alcune commesse o riciclare
denaro, accuse di corruzione e tangenti con relativi danni all'immagine, e
bocciature del titolo da parte delle case d'affari. L’ultimo bilancio approvato
nel maggio 2013 si è chiuso con una perdita di 786 milioni di euro.
Il nuovo amministratore delegato, Alessandro
Pansa, ritiene pertanto di affrontare la nuova fase del mercato mondiale,
caratterizzato da una forte concorrenza, con ristrutturazioni e cessioni di
aziende del gruppo in parte già avviate, unitamente alla emanazione delle regole sulla trasparenza e alla conclusione
della riforma delle nomine per le s.p.a. del Tesoro.
La riorganizzazione ha puntato a
razionalizzare il capitale investito, i processi produttivi e la rete dei
fornitori. Il settore aerospazio e difesa, 60mila dipendenti (circa 40mila in
Italia) dei complessivi 68mila (rappresenta l’86% del fatturato), ha visto una
riduzione netta al 31-12-2013 di 285 unità in AleniaAermacchi , di 253 in AgustaWestland e 2131 unità nel gruppo Selex ES.
In poche parole, che ha pesato
sull’andamento del gruppo sono stati, per il segmento militare, la stasi degli investimenti nel settore Difesa
ed il rallentamento di alcuni importanti programmi di acquisizione, fra cui il
caccia multiruolo F-35.
Il 19 giugno 2013 i responsabili del
progetto hanno trasmesso un report al Dipartimento della Difesa USA in cui si
esprimeva una forte preoccupazione: Il nuovo caccia della Lockheed Martin già
una volta ha rischiato l’annullamento per aver superato la soglia critica della
spesa così come previsto dallo statuto Nunn McCurdy. Oggi si rende necessaria una ulteriore riprogrammazione,
questa cosa fa dell’F-35 un progetto
continuamente a rischio. Per rendere più economico il costoso caccia,
Lockheed Martin e DoD devono offrire, ai paesi coinvolti, più opportunità di
lavoro decentrato.
Il Giappone è diventato il secondo
paese dopo l’Italia ad aver ottenuto la possibilità di un reparto FACO (Final Assembly and Check Out). La sopravvivenza dei reparti
FACO di Giappone e Italia dipendono dalla volontà politica di mantenere in vita
un progetto nato male, e proseguito peggio. Nello stabilimento FACO di Cameri si
dovrebbe concentrare tutta l'attività di assemblaggio e manutenzione dei
velivoli europei.
Il problema è che non c’è paese europeo
che non abbia messo in discussione la propria partecipazione riducendo e
diluendo i propri ordini iniziali. Ad oggi all’Italia viene garantita la
produzione di 3 F-35A per il lotto 6, e 3 per il lotto 7, che sono poi quelli
ordinati dal governo. I quattro ordinati nel lotto 8 sono in attesa di
finanziamento.
Il governo avrà il coraggio di spendere centinaia
e centinaia di euro (dai 235 milioni di dollari dei prototipi ai circa 130 di
uno di serie) per dare lavoro a poche centinaia di lavoratori?
Lo stabilimento di Cameri è già costato
796 milioni e 540 mila € di denaro pubblico per vedere funzionare il 15-30 %
della sua capacità produttiva. Quanti ulteriori tagli alla sanità, alla
cultura e ai servizi sociali, e quanti sacrifici saranno ancora disposti a
sopportare gli italiani anche per queste irrazionali spese?
In Italia tale stabilimento è nato tra
le polemiche di chi lamentava la scarsa affidabilità del progetto ed i suoi
alti costi, e quelle dei lavoratori di AleniaAermacchi di Torino/Caselle che
vedevano ridurre il lavoro nei propri stabilimenti. La partecipazione all’F-35
ha significato la fine della produzione già programmata
del velivolo europeo EFA, e un evidente arretramento dell’azienda da costruttore
di velivoli a subfornitore di manodopera. Dopo la recente ristrutturazione, il sito
di Caselle relativamente ai programmi EFA, al nuovo UAV, LCA e C27J, non ha
certezze.
Nei mesi di maggio e giugno 2013, ci
sono stati scioperi, fra Torino e Caselle, indetti per esprimere la forte preoccupazione
per il futuro del polo aeronautico torinese, e per denunciare il calo
produttivo che provoca continui spostamenti di lavoratori verso lo stabilimento
di Pomigliano D’Arco (il numero di lavoratori in trasferta ammonta a circa 300
unità). Senza una nuova progettazione
non c’è una nuova produzione. Tale situazione di incertezza viene confermata anche
da un piano industriale che vedrebbe saturare la forza lavoro di Caselle con le
attuali commesse. Eventuali cali produttivi dovrebbero essere compensati da
commesse provenienti da altri siti del gruppo.
L’Amministratore delegato di
Finmeccanica, Alessandro Pansa, in un intervento al convegno indetto dal centro studi Demetra,
ha dichiarato che “persa la battaglia sul lavoro e quella sui capitali a favore
dei paesi emergenti, il vantaggio competitivo che rimane ai paesi occidentali è
quello del gap tecnologico tuttora esistente, e le tecnologie si trovano
nell'industria. Di qui la necessità di difendere la presenza dell'Italia in un
settore industriale di cui non si è ancora disfatta”. Pansa si chiede se vi è
interesse non solo a salvaguardare, ma a favorire lo sviluppo dell'industria
aerospaziale in Italia, chiedendo di rilanciare una politica del settore
spaziale in Europa dove l'Italia può giocare un suo ruolo, a patto che sia il
soggetto comunitario ad essere il destinatario di una parte importante delle
risorse.
Ma se il rilancio del settore deve partire dall’Europa, che ne sarà
dell’F-35? E soprattutto, l’Europa, ha come priorità il finanziamento della
tecnologia militare per fabbricare manufatti militari? Se il ruolo del
governo deve essere anche quello di offrire un sostegno allo sviluppo
tecnologico, perché il sistema privato non è in grado di sostenere, da solo, le
ingenti spese necessarie, perché mai la cittadinanza non dovrebbe decidere che
le scelte su cui far ricadere il denaro pubblico sono altre?
Sarà possibile mantenere una
spesa militare capace di sostenere le spese degli F-35, dell’addestratore 345
ex M331 di AleniaAermacchi di Venegono (a cui si è già finanziato e comprato
l’M346), del nuovo velivolo a pilotaggio remoto (UCAV) per non parlare delle
richieste della Marina ed Esercito italiano?
Le scelte sulla destinazione del denaro
pubblico e della distribuzione delle risorse non sono un affare solo per i
militari e per Finmeccanica. Lo sanno bene i generali quando dichiarano: “Senza Tornado e AV8 saremmo stati fuori
dalla campagna libica”. Dobbiamo capire che se l’Italia vuole rivestire un
ruolo nelle missioni a guida NATO o in coalizione servono i mezzi, e l’ F 35 è
il più capace e conveniente , se così non fosse apriamo un dibattito nel paese
per rivedere il ruolo nelle Forze Armate.
Ma è questo che l’Italia vuole, finanziare armi e guerre?
Noi
non siamo d’accordo, apriamo un dibattito nelle fabbriche e sui territori e verifichiamo
cosa è più urgente e necessario per questo paese. Il TAR del Lazio deve rispondere su un ricorso
del Codacons contro l’acquisto F35. Secondo il presidente Carlo Rienzi,
l’acquisto degli F35 comporterebbe un grave danno per la spesa pubblica di cui
i consumatori e contribuenti sono finanziatori e non è stata dimostrata né la
rispondenza del programma all’interesse pubblico, né la sua sostenibilità e
proporzionalità rispetto alle disponibilità di denaro pubblico.