Eppure, l’assemblea sindacale in questione era stata annunciata (e approvata dal soprintendente) parecchi giorni prima come previsto dalla legge (che tra l’altro già prevede che la tutela del nostro patrimonio culturale rientri nella normativa sui servizi essenziali, stabilendo il limite tra l’esercizio di un diritto fondamentale dei lavoratori e le esigenze dei cittadini) ed era stata calendarizzata a inizio turno proprio per ridurre al minimo i disagi dei visitatori.
I lavoratori hanno dunque esercitato il loro diritto di assemblea per discutere delle difficili condizioni di lavoro in cui si trovano ad operare, in perenne sotto organico, senza straordinari pagati, in locali spesso degradati senza riscaldamento o condizionatori, con un alto numero di contratti precari. In particolare, si discuteva del mancato pagamento da parte dello Stato del «salario accessorio», quello maturato per le aperture lungorario, e anche notturne, frutto di un accordo col governo che però non è stato onorato: i 18,500 dipendenti del ministero aspettano le indennità accessorie (30% dello stipendio) da un’infinità di mesi.