ROMA – Le dichiarazioni ufficiali indicavano per il 2015 un ebitda di gruppo, cioè il risultato di gestione, con perdite tra 280 e 310 milioni di euro. La previsione era stata annunciata dai commissari dell’Ilva nell’audizione parlamentare di fine luglio scorso, subito seguita da dichiarazioni d’intenti decisamente confortanti su "un ambizioso piano di crescita per tornare in pareggio entro due anni", cominciando a generare valore dal 2017. Tre mesi dopo la certezza, essendo ormai ottobre inoltrato, è che la rimonta immaginata nel secondo semestre non c'è stata. E la conseguenza è che a fine anno il profondo rosso sarà di almeno 500 milioni, raddoppiando gli oltre 250 milioni di ebitda negativo del periodo gennaio-giugno.
Fonti vicine all’azienda spiegano che il 2015 è caratterizzato da "eventi negativi eccezionali", sottolineano "miglioramenti gestionali importanti" e aggiungono che "il risultato finale dell’anno dipenderà dai valori del magazzino, fortemente volatili", con la possibilità che risulti significativamente meno pesante.
La situazione d’emergenza è il motivo dell’uscita allo scoperto nei giorni scorsi del presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, di Confindustria Taranto e dei sindacati. "L'Ilva si sta spegnendo", ha detto Emiliano, aggiungendo che "le perdite non si fermano e a quella ordinaria si è aggiunta una crisi generale del mercato dell’acciaio". Anche in passato Emiliano ha avuto parole di critica nei confronti di come è stata gestita la crisi del gruppo, ma le ultime dichiarazioni rappresentano un vero grido di allarme. Tanto da immaginare un "piano B" per l’Ilva di Taranto, con "l'uscita dalla cultura dell’acciaio", che richiederebbe "dieci anni". La terza eventualità invece, sempre secondo Emiliano, sarebbe "il collasso", che costringerebbe "a gestire una catastrofe pari al terremoto dell’Aquila".
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