Sostenere che i fondi pensione
sono poco chiari e trasparenti, non rappresenta solo una linea
sindacale tanto che anche la Covip - autorità amministrativa il cui compito è
quello di vigilare sul funzionamento dei fondi pensione complementari – lo
scrive in una sua circolare (n. 2603/2012).
La lista dei fondi è
sterminata,
si è partiti con il settore privato per sbarcare o “sbancare” - scegliete voi
- nel pubblico impiego.
I fondi pensione vengono
venduti facendo leva sulla preoccupazione e paura dei lavoratori
che timorosi
– e a ragione – di una futura pensione la cui entità si aggirerà su 60 – 70% del
netto dello stipendio nei casi più rosei, fino a toccare punte – sarebbe più
giusto parlare di abissi - del 44% del netto dello stipendio, sperano di
ottenere un'integrazione che possa recuperare il potere di acquisto della
propria pensione. In poche parole, la speranza dei
lavoratori (forse sarebbe meglio parlare di necessità) è di ottenere al termine
della vita lavorativa una pensione dignitosa.
Il
Sindacato, dal canto suo, invece di mobilitare lavoratori e lavoratrici per
abbassare l'età pensionabile e accrescere il potere di acquisto delle future
pensioni si trasforma in piazzista della previdenza
integrativa
A scanso di equivoci, non si tratta solo di una questione economica ma anche di
un problema etico, se pensiamo che dietro la previdenza integrativa si cela la
speculazione finanziaria che sottrae sempre più risorse agli investimenti nella
ricerca, nell'industria. E'
ormai pacifico come la speculazione finanziaria abbia mandato in fumo non solo i
risparmi di tanti cittadini ma sia alla base della crisi del sistema
capitalistico, una
crisi che sta distruggendo il settore pubblico. Si pensi alle migliaia di posti
di lavoro perduti in Italia per effetto del mancato turn-over, ai precari
cacciati dalla Pubblica amministrazione e agli effetti della spending review sui
servizi socio sanitari.
In
questo scenario, i sindacati confederali perorano la causa della previdenza
integrativa soprattutto in presenza del fatto che il datore di lavoro darà un
contributo aggiuntivo dell’1% della retribuzione utile al calcolo del tfr,
dimenticandosi che proprio con le ultime manovre la tassazione sugli stessi è
aumentata. Non trascuriamo però che gli stessi
sindacati sono coloro che siedono nei comitati di gestione dei
fondi
e dagli stessi traggono un potere notevole, il tutto a discapito di un ruolo
conflittuale che dovrebbe rimettere al primo posto la difesa del potere di
acquisto di salari e pensioni.
Queste
criticità appena accennate potrebbero essere sufficienti a mettere in
discussione il sistema dei fondi pensione, rifiutato per altro dall'80% della
forza lavoro, senza dimenticare che
la maggiore redditività sbandierata dai sostenitori della previdenza integrativa
dipende dall'andamento dei mercati, insomma
dalla speculazione finanziaria, ricordando che il rendimento netto garantito dal
tfr è stato fino ad oggi piu' alto (chi poi aderisce ai fondi non puo' fare
marcia indietro).
11
dicembre 2015