Dopo
l’assemblea di Bologna nell’aprile scorso, si è riunito a Milano Pubblico
Impiego in Movimento, urgeva confrontarsi e decidere cosa fare. A Bologna
innumerevoli le dichiarazioni di intenti condivise da delegati e sigle sindacali
di base, parte delle quali si sono poi sfilate, del resto il leit motive della
unità non viene sovente seguito da scelte coerenti e fatti concreti. La spinta a
una iniziativa comune è sempre più flebile, domina l’autosufficienza, si pensa
che bastino le iniziative intraprese in ordine sparso da un sindacalismo di base
incapace perfino di accordarsi sulla data di uno sciopero, moltiplicando le
indizioni ma condannandole tutte al fallimento.
Nel
pubblico impiego lavorano 3 milioni di lavoratori\trici, sono migliaia i
precari, il datore di lavoro più grande nel paese. E’ in corso da quasi due anni
un processo di ristrutturazione, lo aveva chiesto la Troika con la famosa, o
famigerata, lettera di Trichet a Draghi; i decreti attuativi della Madia hanno
tempi più lunghi del previsto ma riguarderanno ogni ambito pubblico: le società
partecipate (migliaia i posti di lavoro a rischio), le società in house, la
dirigenza, i provvedimenti disciplinari per favorire i licenziamenti non solo
dei furbetti del cartellino (indifendibili) ma anche di quanti non rispetteranno
codici disciplinari da caserma che ormai impediscono anche di divulgare notizie
sui disservizi, sulle carenze di organico, sui problemi in cui versano ospedali,
uffici. Insomma i cittadini che pagano le tasse debbono restare all’oscuro di
come spendono i loro soldi. Qualche mese fa è stata anche firmata la riduzione a
4 comparti di contrattazione, a sottoscriverla perfino una organizzazione di
base che si dice conflittuale: una manovra per abbattere il costo del lavoro e
ridurre le agibilità sindacali. Da mesi stanno discutendo del nostro contratto,
lo fanno in silenzio ma seguendo le indicazioni dell’Ue e dell’Aran. Stanno
pensando di aumentare la settimana lavorativa, di vincolare pochi aumenti
contrattuali (assolutamente risibili e inadeguati a recuperare anche una parte
del potere di acquisto perduto negli ultimi 7 anni), di ridurre il personale (la
soppressione delle dotazioni organiche a cosa serve se no?), di accrescere i
carichi di lavoro, di esigere sempre più mansioni, anche riconducibili a profili
superiori. I contenuti del prossimo contratto nazionale avranno ripercussioni
sulla contrattazione decentrata, è bene non illudersi che basti fare sindacato
nel proprio posto di lavoro perché le normative alle quali attenersi sono così
vincolanti da tradursi in perdita salariale e allargamento della forbice tra
salari medio-bassi e salari alti.
Promuovendo l’assemblea di Milano del 22 Settembre, ci siamo proposti di rimettere in campo un ragionamento aperto, fuori dalle logiche di appartenenza, non per costruire un nuovo soggetto sindacale ma per ripartire piuttosto dai problemi reali del pubblico impiego che non possono trovare solo spazio in volantini. Cosa accade oggi al Pubblico impiego e al suo personale? Una domanda dirimente alla quale tutti dovrebbero rispondere non con slogan ma con la lettura dei processi in atto e iniziative forti e unitarie di contrasto e di critica. I\le delegati\e, le realtà del sindacalismo di base presenti a Milano rilanciano percorsi e iniziative all’insegna della radicalità, lo faremo con una due giorni di mobilitazione sul contratto a metà ottobre e con assemblee nei luoghi di lavoro, partiremo da una piattaforma minima di rivendicazione sulla quale confrontarsi senza preclusioni di sorta.
L’assemblea
di Milano concorda nell’organizzare a livello territoriale entro fine ottobre
delle assemblee per coinvolgere lavoratori e delegati su 4
punti:
1. il
rinnovo del contratto nazionale Pubblico Impiego;
2. il peggioramento delle condizioni di lavoro nei settori pubblici con mansioni sempre più numerose richieste\imposte;
3. l’utilizzo dei codici disciplinari non per colpire i furbetti del cartellino ma per incutere paura e rassegnazione in tutti i dipendenti pubblici. Il caso del divieto agli operatori della sanità di parlare pubblicamente dei disservizi ospedalieri la dice lunga sui reali obiettivi dei codici disciplinari;
4. le problematiche relative all’agibilità sindacale e al diritto di sciopero.
2. il peggioramento delle condizioni di lavoro nei settori pubblici con mansioni sempre più numerose richieste\imposte;
3. l’utilizzo dei codici disciplinari non per colpire i furbetti del cartellino ma per incutere paura e rassegnazione in tutti i dipendenti pubblici. Il caso del divieto agli operatori della sanità di parlare pubblicamente dei disservizi ospedalieri la dice lunga sui reali obiettivi dei codici disciplinari;
4. le problematiche relative all’agibilità sindacale e al diritto di sciopero.
Sullo sfondo del rinnovo contrattuale si stanno muovendo scenari preoccupanti e autoritari, come leggiamo sulla stampa, con l’idea della autorità sugli scioperi di imporre anche al pubblico l’accordo sulla rappresentanza del gennaio 2014, oggi valido solo per il privato. L’obiettivo non è solo impedire il diritto di sciopero, ma limitare ogni agibilità sindacale ai delegati di base negando loro perfino il diritto ad usufruire dei permessi sindacali. Quando un governo ha fallito nelle politiche del lavoro e sociali, la via della repressione e della negazione aperta delle libertà sociali e sindacali è la sola risposta per nascondere il fallimento.
Per dare forza e continuità al nostro lavoro abbiamo deciso di dare vita ad un coordinamento stabile individuando alcuni delegati che dovranno coordinare le varie iniziative in vista di una assemblea nazionale da tenersi a Novembre.
Pagina Fb: Pubblico Impiego in Movimento
Twitter: @PIinmovimento