Con
la sentenza n. 24015 del 12 ottobre 2017, la Corte di Cassazione, affronta il
delicato rapporto fra la possibilità di un suo trasferimento a mente del
penultimo capoverso dell’art. 2103 c.c. e le tutele previste dalla Legge
104 del 5 febbraio 1992 circa l’assistenza, l’integrazione sociale e i
diritti delle persone handicappate.
Alla
base, il ricorso di un lavoratore (dipendente presso un carcere, addetto alla
mensa) avverso il licenziamento intimatogli per essersi rifiutato di aderire al
trasferimento in altra sede aziendale, seppur questa nuova unità era distante
pochi chilometri dalla precedente e, comunque, entro lo stesso Comune: a
sostegno del rifiuto, il lavoratore aveva opposto di essere titolare degli
speciali diritti previsti per il familiare di persona portatrice di handicap,
dall’art. 33 della Legge n. 104/1992.
Sia
il Tribunale che la Corte d’Appello avevano ritenuto la legittimità del
licenziamento: per entrambi i giudici del merito, infatti, sebbene il lavoratore
fosse in possesso dei requisiti di cui alla Legge n. 104/1992, il trasferimento
doveva ritenersi legittimo.
Il
lavoratore ricorre in Cassazione così sollecitando l’affermazione di un
importante principio di diritto: il lavoratore che fruisce dei
permessi ex legge 104 non può essere trasferito, perché verrebbe violato il più
rigoroso regime di protezione di cui egli gode per il fatto che assiste un
familiare in situazione di handicap.