L'intesa sarebbe stata sottoscritta dalla gran parte delle sigle sindacali, il
punto centrale è l'aggregazione dei comparti che da undici, considerando quelli
effettivi, vengono portati a quattro: "Funzioni centrali, Funzioni locali,
Sanità e Istruzione e ricerca". Le operazioni di accorpamento
hanno riguardato il primo (ministeri, agenzie fiscali, enti pubblici non
economici) e l'ultimo settore (prima scuola, ricerca, università e Afam erano
distinte). La presidenza del Consiglio rimane distinta. La riduzione dei
comparti determina anche la riduzione delle aree dirigenziali, sempre a quattro,
seguendo quanto previsto dalla legge Brunetta e rimasto finora solo su carta.
Per salvaguardare specifiche professionalità all'interno dei comparti, ognuno
avrà il suo contratto, a una parte "comune" potranno essere affiancate parti
"speciali". Quanto alla rappresentatività sindacale all'interno dei nuovi
comparti è prevista una fase transitoria, che fa salve le ultime elezioni delle
Rsu, ma resta ferma la soglia del 5% di deleghe e voti. Per alcune sigle sindacali più
piccole, che magari erano rappresentative in un comparto ora diluito in uno più
grande, ciò può determinare il rischio di scomparire. Per questo nell'accordo è
stata stabilita la possibilità di alleanza, fusioni, con altri sindacati, da
portare a termine entro tempi precisi. La sottoscrizione dell'intesa
era il tassello che mancava prima di poter riaprire il tavolo per il rinnovo dei
contratti, come più volte rimarcato anche dal ministro della Pubblica
Amministrazione, Marianna Madia. La legge di Stabilità per il 2016 destina al
capitolo 300 milioni, una cifra considerata sin dall'inizio insufficiente per i
sindacati, che ora concentrano le loro attenzioni sul nuovo Def e sulla prossima
finanziaria. I contratti nel pubblico impiego sono bloccati dai sei anni, uno
stop non più legittimo secondo la Corte Costituzionale che a riguardo si è
pronunciata con una sentenza nel luglio del 2015.
ansa.it