- il 17 maggio 2013 è nata ADL Varese - Democrazia, Trasparenza, Autonomia e Coerenza non devono essere solo delle parole vuote - ADL Varese non vuole essere ne più grande ne più bella ne più forte, ma semplicemente coerente -

- nel 1992 nascono FLMUniti Varese e CUB Varese, contemporaneamente nascono FLMUniti Nazionale e CUB Confederazione Nazionale -

- nel 2010 tutte le strutture di categoria della CUB Varese insieme a SDL Varese e RDB Varese si fondono e danno vita a USB Varese -

- nel 2013 USB Varese delibera a congresso l'uscita da USB e la nascita di ADL Varese mantenendo unite le precedenti strutture ex SDL Varese ex RDB Varese ex CUB Varese - -

martedì 19 maggio 2020

COVID-19 – da “raccomandazioni” a “Decreti Legge”: le violazioni costano care RSPP, HSE, MEDICO COMPETENTE, DATORE DI LAVORO, RISCHIANO LA GALERA

Dal telaio normativo costituito dai decreti legge, DPCM e Protocolli condivisi, che si sono succeduti nel tempo, è agevole osservare che le misure da adottare per contrastare e contenere la diffusione del virus Covid-19, da mere “raccomandazioni” sono divenute vere e proprie norme precettive, la cui inosservanza può avere rilievi di natura penale. La legge attribuisce al datore di lavoro il ruolo di garante dell’incolumità fisica dei prestatori di lavoro, la mancata adozione di strumenti e di misure idonee a garantire la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro integra le fattispecie di reato contenute nel Testo Unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, adottato con il D.Lgs. n. 81/2008. È, pertanto, penalmente sanzionata la condotta del datore di lavoro che ometta di adottare le misure sanitarie, perché egli è tenuto, in forza delle comuni regole di prudenza, diligenza e
perizia, che presiedono la materia della sicurezza sul lavoro, a predisporre le migliori - anche “atipiche” - misure tecnicamente possibili, di tipo igienico, sanitario e antinfortunistico.

La mancata adozione delle misure sanitarie all’interno dell’impresa determina profili di responsabilità penale anche in riferimento alla posizione di tutti i soggetti che vengano in contatto con le persone e l’ambiente in cui è svolta l’attività (clienti e fornitori). Ciò in base al principio secondo cui le norme antinfortunistiche sono dettate non soltanto per la tutela dei lavoratori nell’esercizio della loro attività, ma anche a tutela dei terzi che si trovino nell’ambiente di lavoro, indipendentemente dall’esistenza di un rapporto di. Non vi è dubbio che, nel caso in cui risultasse provato che il lavoratore o il terzo abbia contratto il virus nell’ambiente di lavoro e fosse riscontrata la mancata adozione da parte del titolare dello Studio delle misure imposte dalla normativa, questi risponderà del reato di lesioni personali (gravi o gravissime e, comunque aggravate dall’averle commesse con la violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, a norma dell’articolo 590 del codice penale) o, nel caso di decesso, di omicidio per colpa grave (articolo 589 del codice penale).

L’obbligo di adottare le misure stabilite dalla normativa sopra delineata scaturisce altresì dalla disposizione racchiusa nel precetto di cui all’articolo 18, comma 1, del D.Lgs. n. 81/2008, il quale, tra i vari obblighi posti a carico del datore di lavoro, prevede anche quelli di: - fornire ai lavoratori i necessari e idonei dispositivi di protezione individuale; - informare il più presto possibile i lavoratori esposti al rischio di un pericolo grave e immediato circa il rischio stesso e le disposizioni prese o da prendere in materia di protezione; - astenersi, salvo eccezione debitamente motivata da esigenze di tutela della salute e sicurezza, dal richiedere ai lavoratori di riprendere la loro attività in una situazione di lavoro in cui persiste un pericolo grave e immediato. La trasgressione è punita con la pena alternativa dell’arresto da due a quattro mesi o dell’ammenda da 1.664,00 a 6.576,00 euro.
Un’altra norma del D.Lgs. 81/08, punibile sotto il profilo penale “la mancata attuazione dei protocolli che non assicuri adeguati livelli di protezione” (anche se non si è verificato alcun infortunio “da infezione”), è quella contenuta nell’articolo 282, la quale sanziona con l’arresto da 3 a 6 mesi o con l’ammenda da 2.740,00 a 7.014,00 euro, la violazione dell’obbligo stabilito nel precetto, ex articolo 271 dello stesso D.Lgs, secondo cui, nella valutazione del rischio di cui all’art.17, comma 1, il datore di lavoro ha l’obbligo di tenere conto di tutte le informazioni disponibili relative alle “caratteristiche degli agenti biologici”, che presentano un pericolo per la salute del lavoratore, e di adottare, in relazione ai rischi accertati, le misure protettive e preventive.

La mancata adozione delle misure sanitarie previste dai Protocolli condivisi integra una fattispecie di reato a prescindere dal fatto che, a causa di ciò, il lavoratore abbia o meno riportato lesioni, rappresentate, nel caso di specie, dalla “infezione da nuovo coronavirus” che, come sopra illustrato, rientra tra le “malattie infettive e parassitarie” ricomprese nella categoria degli “infortuni sul lavoro”.
È, infine, da menzionare la norma del codice civile, contenuta nell’articolo 2087, secondo la quale “l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”. Non c’è dubbio che anche questa, infatti, rappresenti uno dei pilastri su cui si regge l’impalcatura della responsabilità penale del datore di lavoro che, pur in assenza di un fatto lesivo, non abbia attuato i protocolli di protezione.

15 maggio 2020